Domenica 26 giugno si va in Val Gargassa. Il pullman è pieno zeppo come sempre (Chi avesse velleità gitaiole in avvenire, è avvertito: mai aspettare l’ultimo momento a prenotarsi: potrebbe non esserci più posto!). La giornata è bella e le previsioni ci confortano: sole su tutta la linea. L’angioletto, attento alla tabella di marcia, evidentemente si è dato un gran daffare. Arriviamo con buon anticipo al Parco Regionale del “Beigua”, da dove partirà la nostra escursione. La guida, il giovane Stefano, avvertito a casa mentre faceva colazione, arriva trafelato. Dopo le prime spiegazioni davanti al poster d’ingresso, ci incamminiamo in fila ordinata nel bel sentiero di bosco che costeggia il torrente Gargassa: è un canyon di grande interesse geologico; con forme erosive di notevole suggestione, conglomerati di rocce nere, vegetazione varia e lussureggiante. In alcuni tratti il percorso si insinua nella parete rocciosa e per passare dobbiamo aiutarci con le corde fisse. Ci sentiamo scalatori provetti alla conquista di aspre montagne .(“Guarda cosa mi sono messa a fare, superati abbondantemente gli….anta!” )

Dopo un’ora di facile cammino incontriamo un grande prato e il villaggio abbandonato di Veirera, antico centro di lavorazione del vetro. Un enorme pruno selvatico, carico a dismisura di splendidi frutti gialli e rosati – alcuni ancora un po’ asprini, altri maturi e dolcissimi – ci invita alla sosta di mezzogiorno, ma Stefano avverte che ci sarà un “piccola” salita da superare, ed è meglio farla prima di pranzo.Infatti. Lasciata l’ oasi verde con rincrescimento, partiamo. Usciti dal bosco ci si presenta una collinetta ( collinetta?) da superare, tutta splendidamente esposta al sole del mezzogiorno. Guardo allibita – ma non doveva essere un canyon fresco, all’ombra, un circuito facilissimo che fanno anche i bambini di scuola? – Faccio le mie rimostranze al Presidente che naturalmente minimizza.( Qui per la prima volta mi viene un piccolo dubbio: che siano anche un po’ bugiardelli, quelli del GAM? ) Gli altri non battono ciglio e si avviano ordinati lungo il sentiero a zig zag, sotto un sole infernale, verso la cima. Ho un attimo di sconforto: non ce la farò mai, voglio tornare indietro! E tutti a dire che non è poi così terribile, che abbiamo fatto anche di peggio, che subito dopo faremo una lunga sosta-pranzo...Insomma, o così, o così.Nemmeno le amiche hanno compassione; tranne Rosachiara e Sandra ( il cui marito – pazientissimo – fa da scopa assieme a Luciano ), tutte le altre hanno già girato il versante, e sicuramente hanno messo – come si suol dire- le gambe sotto il tavolo. Alla faccia della comprensione, dell’aiuto reciproco, della solidarietà femminile! Mi metto d’impegno – tanto mi avrebbero lasciato lì, sul costone infuocato fino alla fine dei miei giorni- e raggiungo gli altri, già accomodati all’ombra, intenti a vuotare gli zaini e a riempire lo stomaco. Piera, che come me se l’è presa comoda, tira fuori il thermos col caffè caldo e lo distribuisce a tutti. Ci credo che faceva fatica a salire! Con tale peso sulle spalle! Siamo alla Rocca dei Corvi, da cui si gode una vista spettacolare sulle vallate circostanti. Non ci resta che scendere. A valle ci aspetta una buona mezz’ora di relax, prima di salire sul pullman. Tempo che impieghiamo proficuamente seduti sui sassi, coi piedi nella frescura del torrente, là dove forma allegre cascatelle e fresche pozze trasparenti. Averlo saputo prima, non mi sarei mossa da qui! All’alba delle tre e mezza proseguiamo verso l’Abbazia Cistercense di Tiglieto. Il luogo è rasserenante, fresco, immerso nella tranquillità di prati fioriti.Un monaco ci guida nella visita e ci illustra tutto il possibile dell’antico monastero. Adesso, dopo il corpo, abbiamo ristorato anche lo spirito. Una visita alla foresteria, dove facciamo shopping selvaggio: miele, marmellate, grappe, amari alle erbe, digestivi; un’ultima birretta, un gelato, una gassosa al chioschetto attiguo, e siamo pronti a partire.

Il paesello ci aspetta. C’è un’ altra bella gita da archiviare nell’album dei ricordi.